Perché vengono prelevati cervi dal Parco Nazionale dello Stelvio
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Perché vengono prelevati cervi dal Parco Nazionale dello Stelvio

Solitamente i due termini “Parco Nazionale” e “abbattimento di cervi” sono incompatibili, perché nei parchi nazionali l’uccisione di animali selvatici è interdetta per norma di legge. Perché ciononostante nel Parco Nazionale dello Stelvio vengono prelevati dei cervi, viene illustrato in questo contributo. La risposta più sintetica possibile è questa: perché la densità dei cervi è troppo elevata. Ne conseguono danni da brucamento al bosco e alle colture agricole. E la dominanza del cervo va a scapito del capriolo, ma anche di altre specie faunistiche e pertanto riduce la biodiversità.

La norma di legge
Nell’articolo 11 la legge quadro nazionale sulle aree protette n. 394/1991 vieta “la cattura, l’uccisione, il danneggiamento ed il disturbo di animali selvatici” nelle aree protette con la classificazione di parchi nazionali e perciò anche la caccia. Salvo due deroghe trattate più avanti.

Il cervo (Cervus elaphus) e lo sviluppo delle sue popolazioni nel Parco Nazionale dello Stelvio
Attualmente le popolazioni di cervo nel Parco Nazionale dello Stelvio e nelle valli limitrofe consistono in ca. 10.000 animali. Questo non era da sempre così. La specie era presente nelle Alpi da sempre, scomparve però dal territorio dell’attuale Parco Nazionale dello Stelvio a metà del 19° secolo su pressione venatoria esercitata dall’uomo.
L’istituzione del Parco Nazionale Svizzero, ricadente nell’anno 1914, ha comportato alla protezione del cervo. Il Parco Nazionale Svizzero è stato il perno del ripopolamento anche dei territori limitrofi. In Alta Val Venosta il cervo era scomparso attorno al 1860. Agli inizi del 20° secolo i primi esemplari di cervo immigrarono dal Parco Nazionale Svizzero nelle zone tra Tubre e Glorenza. Le densità però rimasero basse. Solo a partire dagli anni 1950 e più accentuatamente dagli anni 1960 il numero di capi aumentò vistosamente.
Dal 1973 in poi vengono effettuati censimenti delle popolazioni di cervo in tutto il territorio del Parco Nazionale dello Stelvio con le sue fette territoriali in Lombardia, in Trentino e in Sudtirolo - Alto Adige e l’amministrazione del parco dispone di una lunga serie di dati che permette la stima dello sviluppo delle popolazioni della specie. I censimenti furono e vengono effettuati in primavera come tassazioni notturne con faro con due ripetizioni seguendo un metodo standardizzato. Dal rilievo di animali marcati con marche auricolari ben visibili sappiamo che i censimenti diretti delle popolazioni di cervo presentano una sottostima tra il 32 e il 48%. Dagli anni 1990 esemplari di cervo sono stati muniti di radiocollare e seguiti con telemetria. Questo metodo permette valutazioni fidabili sull´ utilizzo del territorio, sulla dispersione e sugli spostamenti di questo ungulato. Negli anni 1970 e 1980 la popolazione del cervo raggiunse densità talmente elevate nel settore venostano del Parco Nazionale dello Stelvio che l’ASFD (Azienda Statale delle Foreste Demaniali) come allora gestore del Parco Nazionale permise l’abbattimento di un certo numero di cervi e di caprioli autorizzando i cacciatori locali all’intervento.
Divieto di caccia a seguito di sentenza giudiziaria
Su ricorso del WWF Italia come associazione protezionistica il Consiglio di Stato nell’anno 1983 con sua sentenza interdisse la caccia alle due specie sopra nominate con rinvio alla norma del divieto di disturbo, prelievo e uccisione di animali selvatici nei parchi nazionali. Gli amministratori responsabili del Parco Nazionale ovviamente diedero seguito alla sentenza.

Densità alte di cervo portano a danni da morso
La consistenza delle popolazioni di cervi in seguito aumentò ulteriormente all´ interno del territorio del Parco Nazionale a densità ancora più elevate. Danni da brucamento al bosco montano e alle colture agricole furono una delle conseguenze. Anche l’accettazione sociale del Parco Nazionale svani soprattutto tra i contadini. In seguito alle alte densità di cervi a protezione delle colture speciale quali meleti, ortaggi e piccoli frutti vennero eretti recinzioni metalliche. In aggiunta alle recinzioni protettive attorno a singoli campi venne montato anche una recinzione lungo il perimetro esterno del parco verso il fondovalle al confine tra bosco e terreni coltivati in agricoltura che come conseguenza interrompeva anche lo spostamento dei cervi dai luoghi di estivazione sul Monte Tramontana alle zone di svernamento sul Monte Sole venostano. A causa delle densità alte di ungulati e del restringimento del loro habitat venne a mancare il rinnovo naturale del bosco tramite autosemina. Così ad esempio tutti i germogli dell’abete bianco (Abies alba) in località “Brugger Wald” tra Tubre in Val Monastero e Glorenza furono divorati annualmente. In questo frangente di bosco l’abete bianco nell’arco del tempo ha sviluppato un clone resistente alla siccità in questa zona delle Alpi Centrali con condizioni climatiche continentali e per questo motivo geneticamente particolarmente prezioso.
Nel 1995 in una ampia indagine di campo vennero rilevati i danni da brucamento al patrimonio forestale all’interno del Parco Nazionale. Per la valutazione dei danni vennero documentati i brucamenti ai germogli apicali di tutte le specie arboree a latifoglie e conifere che compongono il bosco. Il rilevamento con metodo standardizzato su molte aree campione dimostrò un danno da morso ammontante al 70% per l’abete rosso come specie arborea principale. Gli alberi di abete rosso brucati dai cervi crescono a forma conica, rimangono bassi e non producono tronco ad alto stelo.
Condizione debole e malattie
Le alte densità di cervi all’interno del Parco Nazionale e la concorrenza trofica abbinata portarono anche ad un indebolimento della condizione degli animali a confronto con gli individui nelle libere riserve di caccia fuori parco come dimostrano i parametri biometrici rilevati. Comparvero malattie: Nel 1997 le analisi di laboratorio eseguiti post mortem su un a campionatura di n=150 degli organi di animali abbattuti dimostrarono che un terzo dei cerbiatti della Val Martello era affetto da paratubercolosi o portatore della stessa.

Utilizzo dello spazio nel Parco Nazionale
Nel Parco Nazionale dello Stelvio i cervi popolano un’area di 57.000 ettari che corrisponde al 44% dell’intera superficie parco. Con ciò il cervo nella sua attuale diffusione occupa praticamente tutti gli ambienti potenziali disponibili. Le catene montuose alte ostacolano uno scambio tra le diverse vallate. Durante l’inverno e quindi durante la stagione con il minor rifornimento trofico si registrano concentrazioni di animali sui versanti soleggiati fino a 25 capi per km². In queste zone predilette di svernamento i morsi da brucamento sono ancora più accentuati.

Piani scientifici di monitoraggio
Come Consorzio per il Parco Nazionale dello Stelvio nell’anno 1997 iniziammo con l’elaborazione di una documentazione scientifica allo scopo di documentare l’incremento delle popolazioni di cervo nelle diverse microregioni del Parco Nazionale. Con dati di censimenti risalenti al 1983 ci fu a disposizione una serie di dati pluriennale. Dopo tre anni (1997-99) di rilievi in campo non solo della composizione e densità delle popolazioni ma anche sul utilizzo del territorio e dello stato di salute, rilevato post mortem su centinaia di esemplari in laboratorio il Consiglio direttivo del parco potte deliberare un piano di monitoraggio per la conservazione e la gestione delle popolazioni di cervo e sottoporlo, a seguito di valutazione positiva da parte di Ispra (Istituto Superiore per la Ricerca Ambientale) come istituto di referenza, al Ministero dell´Ambiente per approvazione.
Le motivazioni dei prelievi
Come già esplicato nell’introduzione la legge statale 394/1991 prevede solo due deroghe al divieto di uccisione di animali selvatici nei parchi nazionali: In caso di malattia e in caso di squilibrio accertato tra numero di animali di una specie ed l’habitat disponibile.
Ritornando alla domanda introduttiva, ecco di seguito le motivazioni per i prelievi selettivi di cervi tramite abbattimenti autunnali:
• Selettivo e massiccio morso ai germogli di alberelli che compongono con la conseguenza ecologica molto grave di rinnovo naturale del bosco mancante, rallentato o inibito e modifica nella composizione delle specie arboree nel bosco di protezione e di produzione;
• Modifica dello strato arbustivo nel sottobosco con impoverimento della coltre vegetale e danni da calpestio soprattutto nelle zone di svernamento con addensamenti di animali;
• Con ciò modifica della biocenosi e dell’ambiente riproduttivo del gallo cedrone e del gallo forcello come tetraonidi. La mancanza di bacche di arbusti nani e la disponibilità scarseggiante di insetti per il rifornimento proteico dei pulcini riduce il successo riproduttivo dei tetraonidi;
• Calo delle popolazioni di caprioli a causa della concorrenza trofica in ambienti che soprattutto in inverno si sovrappongono;
• Diminuzione anche delle popolazioni di camoscio perché a seguito del cambiamento climatico i cervi in estate salgono a quote sempre più alte rilevandosi concorrenti alimentari dei camosci anche nelle praterie alpine;
• Produttività ridotta o mancante nel primo taglio su prati falciati dei masi di montagna già zone periferiche di agricoltura svantaggiata;
• Perdita di foraggio sui pascoli primaverili e sugli alpeggi di bassa quota con l’inizio della monticazione ritardato in primavera;
• Danni da morso, brucamento e calpestio nelle colture speciali come meleti e piantagioni di piccoli frutti;
• Rischio elevato di collisione tra animali e automezzi e danni per il passo notturno dei cervi sulle strade.

L’esecuzione pratica dei prelievi
Nell’esecuzione pratica dei prelievi di cui al piano di monitoraggio l’amministrazione del Parco Nazionale si serve del personale forestale di sorveglianza e coinvolge i cacciatori residenti all’uopo appositamente formati. La legge quadro statale prevede questa possibilità a condizione che il personale coinvolto sia in possesso del porto d’armi e venga abilitato in corsi di formazione con l’illustrazione degli obiettivi del piano di monitoraggio. I prelievi selettivi non sono una caccia al trofeo di balchi, ma una regolazione degli squilibri accertati tra numero di individui della specie faunistica e del loro ambiente. Se si intende ridurre la densità di una specie animale bisogna intervenire soprattutto sulla popolazione femminile per limitare femmine pregne e riproduzione.
Cognizioni e valutazioni
Dal 1997 al 2019 nel versante venostano del Parco Nazionale dello Stelvio abbiamo prelevato un numero complessivo di 7.512 cervi. Da pochi anni i prelievi vengono effettuati anche nelle microregioni Alta Val d’Ultimo e Bormio Valtellina.
Un teorema fondamentale dell’ecologia è formato dalla cognizione che un ecosistema tanto più stabile è quanto è ricco di diverse specie. È importante che una specie nel suo numero di individui non esploda perché questo va a scapito della biodiversità. Dopo venti anni di esperienza con i piani di monitoraggio per la conservazione e la gestione del cervo nel Parco Nazionale dello Stelvio mi permetto di riassumere dal punto di vista mio di seguito alcune cognizioni:
• Quando una specie faunistica di grossa taglia nel tempo cresce ed esplode in numeri di capi, ci vuole un lasso di tempo molto più lungo di quello stimato all’inizio dell’intervento per la ricomposizione dello squilibrio e il raggiungimento della densità mirata: Non è stato possibile raggiungere la densità aspirata di 4-5 capi per km² con un solo piano di monitoraggio anche se pluriennale, ma ci sono voluti diversi piani pluriennali per una durata di venti anni. Perlopiù per mantenere l’equilibrio raggiunto è necessaria la prosecuzione degli interventi di prelievo selettivo.
• Con la riduzione della densità dei capi di cervo si è migliorata la loro condizione. Il paragone dei risultati dei dati biometrici ripresi negli anni e le analisi di laboratorio su batteriosi, virosi, fertilità ed altri parametri ha messo in luce pesi corporei in aumento, buona costituzione e fertilità nonché guarigione dalla paratubercolosi.
• Il bosco montano si riprende dai danni di brucamento e ritorna ad adempie più efficacemente alla sua funzione produttiva e protettiva.
• I danni alle colture agricole sono rientrati ad un livello economico e sociale accettabile.
• Con il calo della densità del cervo si riprendono i caprioli. Anche per il gallo cedrone il brucamento ridotto degli arbusteti nani del sottobosco come foraggiamento autunnale è favorevole.
• La compartecipazione ed il coinvolgimento dei cacciatori locali nelle azioni di prelievo hanno portato a buoni risultati.
• La valutazione che il lupo, rientrato negli ultimi anni e crescente nel numero di individui presente, come predatore possa regolare la densità dei cervi facendo a meno degli interventi di sparo da parte dell’uomo a mio avviso è troppo ottimistica. Bensì il lupo porterà ad una maggiore dispersione dei cervi nel loro habitat, ma non ad una diminuzione sostanziale della loro densità di popolazione. Una crescita incontrollata dei lupi comprometterebbe la monticazione di animali domestici. L’alpeggio estensivo tradizionale per secoli è stato e rimane un contributo prezioso ed importante per la cura del paesaggio culturale e per la conservazione della biodiversità degli ambienti e delle specie vegetali ed animali.



Testo: Wolfgang Platter, 16 gennaio 2020
Ufficio per il Parco Nazionale dello Stelvio
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